Il Consiglio dei Ministri ha approvato, nella seduta del 28 febbraio 2020, un nuovo decreto legge per fronteggiare la situazione di emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del Covid-19. Nel testo approvato è contenuta anche una norma che riguarda gli obblighi di segnalazione imposti dal Codice della Crisi d'impresa e dell’insolvenza (decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14), destinati a divenire pienamente operativi a partire dal 15 agosto 2020. In particolare, si è ritenuto di optare per il differimento al 15 febbraio 2021 dei termini per l’obbligo di segnalazione introdotto dal Codice della crisi (c.d. “procedimento di allerta”) che grava sugli organi di controllo interno, sui revisori contabili e sui creditori pubblici qualificati "per consentire un graduale adeguamento ed evitare che l’emergenza comporti conseguenze per coloro che hanno tale obbligo e potrebbero trovarsi nell’impossibilità di farvi fronte".
Da tempo era nell’aria l'ulteriore “slittamento” delle cc.dd. procedure di allerta, istituto tanto criticato che avrebbe - secondo molte voci autorevoli - messo in crisi gran parte delle imprese italiane, a partire dal 15 agosto 2020. Termine quest'ultimo già frutto di una entrata in vigore posticipata del Codice della crisi (una proroga strutturale potremmo dire), giustificata dalla necessità di rendere possibile alle imprese italiane "tradizionali" quel cambio di mentalità per molti ritenuto impossibile - almeno nel contesto dell'impresa a gestione familiare, che rappresenta la maggioranza dell'imprenditoria italiana -.
L’emergenza del Covid-19 ha fornito la sponda ideale ad un legislatore sempre più incline alle proroghe accompagnate dalle mille declamazioni, che con l’ennesimo atto legislativo d’emergenza ha anticipato le bozze del decreto correttivo al Codice della Crisi – che già prevedevano una proroga per le imprese che non superino determinate soglie patrimoniali e reddituali – stabilendo la proroga generalizzata al 15 febbraio 2021 degli obblighi di segnalazione ivi previsti (si vedano in particolare gli artt. 14, comma 2 e 15), a valere per tutte le imprese, con buona pace degli imprenditori e dei professionisti chiamati ad assumersi nuove gravose responsabilità.
Sebbene la relazione illustrativa precisi che la deroga si giustifica per le imprese che "anche a fronte dei danni economici derivanti dall’emergenza sanitaria, possano avere difficoltà ad implementare la norma", la stessa è formulata in termini a dir poco tranchant, cancellando provvisoriamente con un colpo di spugna gli obblighi di segnalazione gravanti sulle imprese. Almeno fino a febbraio 2020, salvo nuova deroga.
Come si evince dalla stessa relazione illustrativa al decreto legge, alla (dis)attivazione della procedura di allerta si accompagna poi l'ovvia sospensione delle responsabilità gravanti sui gestori e sugli organi di controllo che siano legate al sistema di allerta. Sembrerebbe dunque tutto risolto, per il momento, e le imprese italiane possono tirare un sospiro di sollievo.
Tuttavia, molte voci ben più autorevoli della mia sospettano - e direi a ragion veduta - che questo continuo prorogare del sistema di allerta abbia ben altre origini rispetto all'emergenza contingente in cui si trova il sistema economico nazionale.
Forse - si dice - non si ha ancora il coraggio di ammettere che le procedure di allerta rischiano di rappresentare un vero e proprio "giudizio finale" per le PMI italiane, già pesantemente onerate da obblighi di compliance di ogni sorta e sottoposte ad una pressione fiscale che è tra le più elevate degli Stati aderenti all'Ocse.
Nel frattempo, l'entrata in vigore "a singhiozzo" del Codice della Crisi si fa sempre più frammentata e incerta, mentre si attende l'approvazione definitiva del decreto correttivo esaminato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri alla seduta del 13 febbraio 2020.
Di sicuro l'entrata in vigore posticipata delle procedure di allerta rinvia - di fatto - il vero cuore della riforma fallimentare, che al di là dei sistemi di allerta appare priva di evidenti cambi di direzione rispetto al passato.
Si apre dunque un nuovo scenario di ulteriore incertezza in un settore normativo che non si accontenta di disciplinare la crisi, ma – come affermato da molti – la creerebbe anche laddove non esiste. E a mio modesto avviso non è tanto il contenuto delle norme, quanto l’incapacità di applicarle seriamente, che rende vano l’intero sforzo legislativo profuso.
Articolo presente sul quotidiano IPSOA del 29 febbraio 2019, disponibile al seguente link