Il Tribunale di Roma, con una pronuncia per certi versi innovativa e dai potenziali effetti dirompenti (Ordinanza del 27 agosto 2020), ha recentemente accolto una domanda cautelare di riduzione del canone di locazione non abitativa, motivata dalle note conseguenze legate all'emergenza sanitaria COVID-19.
La pronuncia sancisce il trionfo dei regimi delle sopravvenienze (fortuito, factum principis, etc.) sulla regola della responsabilità oggettiva dell'imprenditore, al contempo valorizzando il ruolo della clausola di buona fede quale meccanismo di "ricalibratura" delle obbligazioni reciproche nei contratti sinallagmatici.
Sul tema, seppur da una prospettiva più generale, si erano già da tempo espresse fonti autorevoli della dottrina giuridica civilistica e gius-commercialistica (si veda, tra i tanti, Irrera, Diritto dell'emergenza: profili societari, concorsuali, bancari e contrattuali, in Quaderni di RES, 3/2020), cui sono seguite, a distanza di pochi mesi, le prime pronunce dei giudici di merito, guidate da un importante documento di approfondimento redatto dalla Suprema Corte (Relazione Tematica dell'8 luglio 2020) proprio in materia di rinegoziazione del contratto squilibrato a causa delle norme Anti-Covid.
Facciamo quindi un passo indietro. La recente crisi economico-sanitaria ha stravolto gran parte dei rapporti commerciali "di durata", impattando trasversalmente sulle modalità (rectius: possibilità) di esecuzione degli obblighi nascenti dal rapporto contrattuale.
Con specifico riferimento ai contratti di locazione c.d. "commerciale" o non abitativa, l'epidemia ha avuto un duplice effetto: dal lato del locatore, le misure di contenimento imposte dal legislatore hanno reso di fatto inutilizzabili, ovvero servibili solo in parte, i beni immobili oggetto della locazione, determinando così una riduzione del valore intrinseco della prestazione per causa non imputabile al proprietario; dal lato del conduttore, per converso, l'annullamento o la riduzione della capacità produttiva dell'immobile locato, e la conseguente contrazione delle risorse finanziarie disponibili, può aver reso eccessivamente gravoso il compenso pattuito ab origine tra le parti rispetto alle ragionevoli aspettative dell'impresa conduttrice al momento della conclusione del contratto.
É indubbio che, in certi casi, le disposizioni di sicurezza emanate dal Governo nella forma dei noti DPCM – ad oggi recanti disposizioni di sempre maggior rigore proporzionalmente all'aumento della curva dei contagi – abbiano comportato una notevole limitazione della capacità di sfruttamento degli immobili offerti in godimento: prima a causa del contingentamento degli ingressi e del distanziamento di tavoli e sedute, poi anche per via del coprifuoco orario alle 18:00 per bar e ristoranti, e ciò in misura ancor maggiore nel caso di immobili con spazi interamente chiusi e senza possibilità di sfruttamento delle aree esterne.
Tutto questo ha determinato una parziale incapacità degli immobili a servire per l'uso pattuito e legittimamente atteso dalle parti al momento della conclusione del contratto, provocando di conseguenza un inadempimento parziale della prestazione di parte locatrice per causa ad essa non imputabile.
Seguendo proprio le indicazioni fornite dalla SC nella citata Relazione, il Tribunale di Roma, chiamato a pronunciarsi su una domanda cautelare di riduzione del canone motivata dalle limitazioni conseguenti alle disposizioni anti-contagio allora vigenti (peraltro ben meno incisive rispetto a quelle in essere a seguito dei noti DPCM di ottobre), ha accolto la richiesta del conduttore sulla base di un percorso motivazionale incentrato sulla clausola generale di buona fede nell'esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.), nel duplice ruolo di funzione integrativa dell'autonomia negoziale e strumento di adattamento del regolamento contrattuale alle circostanze ed esigenze sopravvenute.
Al riguardo, si legge in motivazione che laddove si ravvisi una sopravvenienza nel sostrato fattuale e giuridico che costituisce il presupposto della convenzione negoziale, quale quella determinata dalla pandemia del Covid-19, la parte che riceverebbe uno svantaggio dal protrarsi della esecuzione del contratto alle stesse condizioni pattuite inizialmente deve poter avere la possibilità di rinegoziarne il contenuto, in base al dovere generale di buona fede oggettiva (o correttezza) nella fase esecutiva del contratto (art. 1375 c.c.).
In altre parole, il Giudice ha di fatto aperto le porte ad un vero e proprio diritto di rinegoziazione del contratto "di imperio" (senza necessità che sia ivi prevista una apposita clausola) per i conduttori in difficoltà col pagamento dei canoni originariamente pattuiti, la cui misura – a seguito della ridotta capacità produttiva dell'immobile – sia divenuta sproporzionata rispetto al reale valore economico del bene locato.
Il ragionamento si conclude, quindi, con la piena applicabilità dell'istituto codicistico dell'impossibilità parziale sopravvenuta, intesa sia come impossibilità limitata ad un certo periodo di tempo (c.d. temporanea), sia nel senso di una riduzione quantitativa/qualitativa dell'immobile offerto in godimento dal locatore. Da ciò discende, conseguentemente, il diritto del conduttore ad ottenere una corrispondente riduzione della propria prestazione ai sensi del disposto di cui all'art. 1464, comma 1, c.c.
La decisione appare aderire a quella tesi (maggioritaria) della giurisprudenza e della dottrina che propende per una visione "conservativa" del regolamento contrattuale in caso di sopravvenienze in grado di incidere sulla normale alea negoziale del contratto, anche in funzione di un principio di solidarietà sociale che – ancor più nella situazione di emergenza nazionale contingente – torna ad emergere nelle aule di giustizia veicolato dal dovere di esecuzione del contratto secondo buona fede. Resta ancora da comprendere quali saranno i criteri utilizzati dai Giudici per stabilire, in concreto, la quantificazione percentuale delle riduzioni spettanti ai conduttori, anche in considerazione della mutevole incidenza delle misure restrittive sull'immobile in base alla tipologia di attività esercitata. Sarà il diritto vivente, ancora una volta, a fornire le opportune risposte, tenendo conto come sempre delle variabili peculiarità del caso concreto.
1) stragiudiziale: il primo rimedio, che si ritiene anche il più efficace e conveniente per ambo le parti, consiste nell’avvio di una rinegoziazione dei termini contrattuali secondo i canoni di buona fede e solidarietà nell’esecuzione del contratto.
2) giudiziale: in caso di indisponibilità delle parti, o di mancato accordo sui termini e sulla misura della riduzione, sarà possibile adire la competente Corte territoriale, anche nelle forme del ricorso d’urgenza, per ottenere una pronuncia del giudice con cui si disponga la riduzione del canone locatizio.
Se siete un'azienda che esercita la propria attività d'impresa in un locale in affitto potete chiedere una consulenza per verificare se abbiate diritto a chiedere la riduzione del canone di locazione.
Per l'inoltro della richiesta potete rivolervi ai contatti presenti sull'apposita sezione del Sito al seguente link.